Nel 300 a.C. il tratto di mare davanti ad Alessandria era estremamente trafficato; ricche rotte commerciali si incrociavano al porto, ed era necessario porle a riparo dai pericoli.
I re Tolomeo I Sotere e suo figlio Tolomeo II Filadelfo si risolsero quindi a costruire un edificio gigantesco sull’isola di Pharos: una torre alta più di centotrenta metri, visibile a quasi cinquanta chilometri di distanza, che inviasse un segnale luminoso rotante – riflettendo grazie a specchi parabolici la luce del sole durante il giorno e di grandi fuochi la notte.
Rimase in attività per l’impensabile tempo di sedici secoli, forte di una tecnologia avanzatissima, che poté essere pareggiata solo molto dopo che due terremoti, a breve distanza, lo abbattessero, agli inizi del XIV secolo.
È quindi facile comprendere come quella metonimia che dette il nome dell’isola all’edificio sia rimasta scolpita in un’antonomasia lunga ventitré secoli. Ed è facile intendere come la fulminante intuizione di una torre di segnalazione luminosa sia passata ad indicare, figuratamente, un punto di riferimento culturale, spirituale – guida rassicurante, per i marinai che solcano le acque nella notte, come una stella artificiale.
Il Faro evoca sicurezza e solitudine.
Tatuarsi un faro significa avere addosso la giusta guida durante la navigazione della nostra vita.
Per antonomasia è simbolo di sicurezza e protezione nell’oscurità.
È considerato un punto di riferimento. Il suo significato è associato ad una guida, ad una luce che indica la via, una direzione da prendere per tornare sani e salvi a casa.
Un faro in lontananza simboleggia appunto la speranza di arrivare presto alla meta desiderata.
Se viene rappresentato con fulmini e mare in tempesta, indica che il nostro percorso è (stato) molto tormentato e difficile, ma nulla ci può abbattere.
Una caratteristica dei fari è l’impassibilità durante le tempeste che lo flagellano, per questo motivo è sinonimo di tenacia e forza contro le avversità della vita.